Il primo giorno, il primo amore
Secondo messaggio in bottiglia
(Leo Longanesi)
Sono passati trentacinque anni ma io me lo ricordo ancora, il primo giorno.
La vestizione col grembiule nero, colletto bianco e fiocco blu, la cartella di cuoio sulle spalle, con dentro l’astuccio grande e solo qualche quaderno. Poi la camminata di mattina, da casa mia fino a scuola. E l’ingresso in cortile, tenevo ancora la mano di mia madre, e prima delle scale un bambino come me, vestito di tutto punto, di fianco a un bidone alto di latta, che apriva e chiudeva il coperchio e salutava tutti e diceva se qualcuno doveva buttare qualcosa nel bidone poteva farlo che ci pensava lui ad aprire e chiudere.
E diceva anche come si chiamava, questo bambino vestito di fianco al bidone all’inizio delle scale, Mi chiamo Andrea diceva, ma tutti mi chiamano Amore.
Così ho conosciuto il mio primo compagno di scuola e ho scoperto poco dopo che nella mia classe di Andrea ce n’erano tre: Amore appunto, Moscato, il mio futuro compagno di banco e avventure nei campi, e infine Brescio o Brescianana, il figlio di Nanni il dottore, quello che a metà del mio cammino verso la scuola mi aveva affiancato e sembrava marciare più che camminare, con lo sguardo dritto verso l’obiettivo.
Ecco il primo giorno, dopo trentacinque anni, è ancora intatto. Non so perché ma restano immagini e volti, tutto ancora in movimento, come si trattasse di un film che mi gira nella testa, una scena madre sempre a disposizione, che ritorna e rivela nuovi particolari, come quello di Amore che apre e chiude il bidone, mi sorride e anche se è la prima volta giuro che lo vedo, in quel momento mi dico che va tutto bene, posso farcela, posso entrare anch’io, iniziare anch’io e poi vediamo, ma dopo e con calma, come va a finire.
Così mi piacerebbe che ogni bambino, ogni studente, ma anche ogni insegnante, ogni persona che lavora nella scuola potesse iniziare il primo giorno:
- con qualcuno che gli fa un sorriso e lo accoglie, anche senza aprire e chiudere un bidone di latta, ma aprendo la porta dell’anima e non solo quella d’ingresso,
- con qualcuno che almeno fino al cortile gli tiene la mano,
- con altre mani e altri occhi che sapranno comprendere e abbracciare e ascoltare e intrecciare storie e fare di ogni storia un racconto, da ricordare in silenzio e trasmettere ad alta voce,
- con almeno tre Andrea in classe, da imparare a conoscere, magari dando loro un nuovo nome, che dica chi sono, un nome nuovo che sappia fare la differenza, perché forse andare a scuola è anche questo, dare un nome nuovo alle cose, ricrearle, e forse non è un caso che a metà mattina ci fosse una pausa che si chiamava ri-creazione, anche se oggi forse ci sono rimasti soltanto intervalli, tra una cosa e l’altra, tra una corsa e l’altra,
- con l’idea che grazie a quello che succede dentro la scuola, negli incontri che si vivono, più che nelle materie che si studiano, il mondo di fuori può diventare migliore, il mondo può essere più mondo e gli uomini davvero uomini,
- e infine con la speranza che, come è accaduto per me, tra un bidone di latta e il suo coperchio, il primo giorno coincida anche con il primo Amore.
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