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Il nuovo messaggio agli studenti del Sindaco Emanuele Ferrari per l’inizio dell’anno scolastico

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E’ diventato ormai una tradizione, da oltre 10 anni, il messaggio agli studenti di Emanuele Ferrari, prima in veste di Assessore alla scuola, ora come sindaco (che ha comunque mantenuto la delega) agli studenti in vista dell’inizio del nuovo anno scolastico.
Ecco quello per le attività che inizieranno lunedì.

“Non so. Ci ho pensato su. Non so, me lo ripeto, se questo è l’undicesimo messaggio in bottiglia o il primo di una nuova serie che potrei chiamare “La scuola – Istruzioni per l’uso”.
Non faccio più l’insegnante dal 21 di giugno scorso. La conseguenza naturale del fatto che il 10 dello stesso mese sono diventato sindaco. E le due cose, mi è parso chiaro fin da subito,non possono stare insieme. Ho fatto una scelta. Mi sono messo “in aspettariva” da insegnante, per dedicare tutto il tempo possibile a fare il sindaco. Ecco, uno potrebbe vederla anche in questo modo: faccio il sindaco in attesa di fare di nuovo l”insegnante.
È una cosa bellissima sapete fare il sindaco? 
Vi faccio un esempio: parcheggi la tua auto il lunedì mattina presto, a circa 300 metri dal municipio, e per arrivarci impieghi 15/20 minuti, perché in quel tragitto incontri tante persone: ti parlano, ti chiedono, commentano, sorridono, ti salutano semplicemente. Ma tu ti fermi, stai con loro qualche minuto o pochi secondi, scambi due parole, ascolti e coltivi questa straordinaria umanità. Ogni giorno. In neanche 300 metri di strada fra la tua auto e la porta di un ufficio.
Fare il sindaco non è propriamente un mestiere. Credo soprattutto sia un servizio, che però ha qualcosa di avventuroso, nel senso che fino in fondo non sai mai cosa ti può capitare. Ma per farlo bene, farlo al meglio credo sia necessario viverlo come fosse un mestiere, uno di quelli che s’imparavano a bottega, prima di tutto osservando chi lo sapeva fare già, poi studiando e cercando di imparare ogni giorno, da ogni persona, da ogni situazione che incontri. Ecco alla fine fare il sindaco somiglia molto a fare lo studente. Per questo forse non è possibile fare il sindaco e l’insegnante allo stesso tempo.  Si crea un po’ di confusione diciamo.
E allora cosa posso scrivere a voi studenti oggi, che faccio il sindaco e che sono tornato anche io, in qualche modo misterioso, sui banchi di scuola?
Forse posso solo provare a lasciarvi delle istruzioni, in 4 parole che stanno insieme a due a due, come una coppia, un dialogo, due volti che si guardano in silenzio e che oggi, se ci penso su, potrebbero essere queste: Potere e responsabilità. Attesa ed esperienza. Provo a spiegare meglio, ma senza togliere le pieghe, che sono belle e imprevedibili, come la vita.
Forse è proprio a scuola che s’incontra per la prima volta il Potere, che poi ha la forma dell’Autorità. Il preside, gli insegnanti, le regole, i divieti, soprattutto. Persone che ti dicono spesso “devi”, che ti chiedono di fare cose che non è detto ci piacciano, che non vogliamo proprio fare, delle volte. Anche quando uno diventa sindaco la gente pensa che abbia un sacco di potere. Che puoi obbligare gli altri a fare le cose. Ma io, guardando quasi ogni giorno, per dieci anni, il mio sindaco, quello da cui ho imparato andando a bottega, ho compreso che il Potere da solo non serve a nulla. Anzi, da solo diventa pericoloso. Perché non sei più tu che hai il potere. Ma è il Potere che ha te, ti possiede e allora non sei più libero, ma schiavo di ciò che in apparenza dovrebbe liberarti. Il Potere infatti ha senso solo in relazione alla Responsabilità. La libertà ha senso solo in relazione ai legami che crea. 
Ma cos’è la Responsabilità? Lo dice la parola stessa: capacità e insieme desiderio di rispondere, di cercare risposte insieme, a partire da un ascolto degli altri, dei loro problemi come delle loro idee, proposte, visioni. Mi prendo la Responsabilità significa stare dentro questo dialogo continuo, che si declina sempre al futuro, che apre nuovi orizzonti. Non è questo in fondo che prova a fare una vera scuola? Attraverso la costruzione di legami, l’apprendimento di regole, l’esercizio delle discipline, apre orizzonti di senso, o meglio dona sensi nuovi e molteplici al nostro piccolo e privato orrizonte. Come succede certe mattine, che in uno spazio, un cammino di neanche 300 metri, ti accade il tempo, o meglio vivi e attendi il tempo che serve per far accadere il mondo.
Ed ecco che compare l’attesa. Anche questa, diciamolo, è una figura problematica, specie quando siamo giovani e vorremmo tutto e subito. Ancora oggi attendere è difficile. Ci viene  da pensare sia tempo sprecato, consumato inutilmente. Ma io mi sono fatto l’idea che solo chi sa attendere arriva dove desidera. Ciò che si avvera viene da un’attesa. Dobbiamo poter dare un senso a ogni secondo di attesa. Ogni attesa contiene cose grandi: si nutre di pazienza, che poi è sentire le cose nella loro profondità, si nutre di attenzione, che è una forma altissima di generosità, si nutre di speranza, che come la responsabilità si declina al futuro. 
A scuola si attende di diventare grandi, studiando, imparando a desiderare, cercando risposte che trasformano ogni forma di autorità in possibilità, potenzialità, vocazioni, nel senso di “preghiere che si raccolgono insieme”, tra tanti, e che qualcuno potrebbe anche chiamare letteralmente “competenze”. 
Nostra madre ha atteso 9 mesi per metterci al mondo. Quanto tempo impiega la scuola per farci nascere di nuovo? Che tempo è quel tempo lì? Ecco io penso che il tempo della scuola sia il tempo dell’Esperienza. Quel tempo dove letteralmente ci mettiamo alla prova (qualcuno potrebbe dire che anche una campagna elettorale è un bel modo di mettersi alla prova…), dove attraverso l’esplorazione dei campi del sapere e dei loro necessari intrecci e sconfinamenti, ci sperimentiamo, diventiamo noi stessi un esperimento, con tutti i successi e anche i fallimenti che ogni buon esperimento comporta e insegna. Alla fine del viaggio, di questa avventura, non è detto che sappiamo una volta per tutte chi siamo, forse abbiamo imparato Che cosa ci facciamo qui, come abitare questo mondo che ci è stato dato in dono. 
Un po’ come quello che succede a qualcuno, ormai tutte le mattine, da circa tre mesi, che dopo aver impiegato 15/20 minuti a fare un tragitto di quasi 300 metri, gira la chiave, apre la porta e pensa cosa ci può fare oggi qui, insieme a tutti gli altri, a tutti quelli che incontrerà e gli porranno un sacco di domande, che sono sempre un po’ misteriose e imprevedibili, come la vita.
Ecco dunque le prime due Istruzioni:

1.    Non abbiate fretta, vivete l’attesa come una forma di esperienza, che vi aiuta a imparare come abitare i luoghi, a partire dalla scuola. Abitare il mondo, abitare il tempo 

2.    Non dimenticate mai che il potere è niente senza responsabilità. E la responsabilità s”impara proprio a scuola, la responsabilità trasforma il potere in possibilità: apertura sull’orizzonte di senso della vostra vita, che vi supera e insieme include gli altri.

Buona scuola allora. A tutte. A tutti”.