La Mappa di Comunità – individuando e rappresentando gli elementi riconosciuti importanti dalla comunità locale – riflette sul senso di appartenenza delle persone ai luoghi. Utilizzando un codice di rappresentazione immediato e diretto, essa rende accessibile a tutti la lettura dei caratteri e dei valori del territorio, del paesaggio, del paese/città, rendendo quindi più concreta la possibilità da parte degli abitanti di poter partecipare attivamente e discutere le scelte di trasformazione. In questo modo ci si trasforma reciprocamente in esperti, liberando le conoscenze sommerse e innescando processi di cura nei riguardi del territorio.
La Mappa di Comunità diventa qualcosa di più facilmente leggibile nel momento in cui si arricchisce di informazioni e di dati del sapere locale, altrimenti non prese in considerazione dalle carte ufficiali. Essa si rivela utile non soltanto per un recupero della memoria collettiva del territorio, ma anche per passare da questa ad una fase più progettuale, in quanto può essere utilizzata nel quadro delle conoscenze che si acquisiscono nella pianificazione urbanistica tradizionale, e nel nostro caso per una fase di conoscenza utile per il master plan della riqualificazione urbana.
La Mappa di Comunità, infatti, recependo stimoli ed esigenze specifiche – altrimenti non indagate o approfondite – rappresenta una buona base di partenza per la lettura e l’analisi del contesto territoriale, oltre a far emergere criticità inespresse delle quali il sapere esperto deve tener conto. Le Mappe di Comunità sono finalizzate a promuovere il ruolo degli abitanti nella costruzione di rappresentazioni del territorio in grado di rappresentare – attraverso tecniche generalmente a debole formalizzazione e in maniera immediatamente comunicabile – il proprio spazio vissuto e i valori socialmente riconosciuti del territorio di appartenenza. Le mappe sono costruite dagli abitanti con l’aiuto di facilitatori, artisti e storici locali, nel difficile percorso volto a considerare il paesaggio “una parte del territorio cosi come percepito dagli abitanti” (art 1 della Convenzione europea del paesaggio).
Nel processo di formazione di un progetto/piano le Mappe di Comunità vengono assunte come strumento di crescita della “coscienza di luogo” attraverso la partecipazione degli abitanti alla costruzione di rappresentazioni “dense” dei valori patrimoniali, territoriali e paesaggistici e vengono attivate, secondo tre fasi di sviluppo:
a) decodificazione della percezione del paesaggio, riappropriazione e rappresentazione dei valori patrimoniali: la costruzione delle mappe;
b) partecipazione alla costruzione degli obiettivi di qualità paesaggistica e degli scenari di trasformazione;
c) attivazione dei saperi contestuali per la cura quotidiana del paesaggio e dell’ambiente, e la promozione culturale della valorizzazione del territorio e del paesaggio.
In sostanza, nel nostro caso, i paletti fondanti e strutturanti l’idea, il progetto, di riqualificazione urbana e del master plan. Le modalità operative di costruzione di una Mappa di Comunità si basano sulla sperimentazione di metodologie diverse di ascolto, di selezione/decisione sugli elementi e sui valori e di rappresentazione formale delle mappe da realizzare. Ogni laboratorio privilegia i metodi di indagine e di realizzazione che ritiene più adatti alla propria realtà e capacità, decidendo di dare avvio alla propria attività con la predisposizione di alcune domande significative (Cosa ritieni importante di questo luogo e cosa significa per te? Cosa lo rende diverso da tutti gli altri luoghi? Cosa è importante di questo luogo? A cosa attribuisci valore? Cosa conosciamo e cosa vorremmo conoscere? Come possiamo condividere le nostre conoscenze? Quali miglioramenti sono possibili?) da sottoporre alla comunità locale, anche sotto forma di questionario/inchiesta distribuito anche con l’aiuto delle scuole.
Molto spesso, se non di norma, urbanistica denota una disciplina tecnica che ha a che vedere con il dove e il quanto del costruire e che, come tale, è appannaggio esclusivo di professionisti, agenzie, imprese, lavoratori del settore. (…) Per un profano appare, per lo più, un coacervo di norme oscure e interessi opachi, al quale ci si affaccia di rado e comunque sempre attraverso la mediazione di iniziati. La stessa politica locale, spesso, ha rinunciato ad una delle sue prerogative più alte, il governo del territorio, abbandonandone la cura interamente ai tecnici, quasi fosse un totem a cui offrire sacrifici in cambio di risorse per gli investimenti. (…) Superare il concetto deteriore di urbanistica non è una sfida esclusivamente tecnica, non riguarda cioè solo gli strumenti e la loro costruzione, ma è, a mio avviso, una sfida principalmente culturale e assolutamente politica. Si tratta, infatti, detto in due parole, di ricostruire la base sociale del discorso urbanistico, trasformandolo da “piano di fabbricazione” a progetto condiviso e strategico che una comunità ha di sé stessa e del territorio in cui vive. (…) Realizzare concretamente questa nuova idea di urbanistica implica, se non altro, il terreno fertile di una comunità non dico consapevole di sé, dei suoi bisogni e delle sue prospettive, ma una comunità che accetti almeno la scommessa, il gioco di porsi francamente queste domande. E ciò, naturalmente, è pensabile se e solo se a monte c’è una politica tanto coraggiosa e umile da mettersi in discussione per favorire lo svilupparsi di quelle domande – e soprattutto disponibile ad ascoltare le possibili risposte. (…) Isi svuotano del senso che vi si è stratificato nei secoli e si caricano di funzioni, aspettative, valori economici, oppure diventano semplicemente anonimi, privi di senso, luoghi dormitorio. Ad una geografia di luoghi dotati di senso si sostituisce una geografia di interessi fatta di preselle e di indici, una geografia iniziatica. Un luogo, un edificio, un terreno, una strada, perdono la propria unicità incommensurabile e diventano mere variabili in una combinatoria in cui tutti gli elementi hanno un unico equivalente universale, quasi un feticcio, il “volume” poi facilmente monetizzabile. Per questo penso che quando si parla di urbanistica sociale o partecipata più che un mero metodo di condivisione di strumenti tecnici, per altro imprescindibili, si debba intendere innanzitutto un grande obiettivo: la costruzione di un racconto collettivo che tenga insieme i valori e le prospettive che un territorio ha per la comunità che ci vive. In questo modo, restituendogli un’identità collettiva, il territorio viene sottratto al mondo del semplicemente-a-disposizione per entrare in quello della responsabilità sociale e quindi del progetto condiviso. Tutela e sviluppo acquistano in questo contesto un senso diverso e più alto. Cessano di essere antonimi e diventano correlativi, in quanto inseriti nel medesimo discorso che, in quanto collettivo, è leggibile da tutti, dall’inizio alla fine. Allo stesso modo un concetto (altrimenti spesso abusato) come quello di sostenibilità acquista qui un senso insieme più pieno e cogente. La risorsa con cui si ha a che fare – sia acqua, suolo, bosco, ecc. – non è più qualcosa che non può essere utilizzato indipendentemente da un progetto di cui essa stessa è parte integrante. Innanzitutto essa non si identifica più in astratto, ma in un concreto individuale – “quella sorgente”, “quel bosco”, “quel terreno” – che come tale è insostituibile. (…) Per la nostra comunità il piano strutturale, il processo partecipativo che ne ha anticipato la stesura, le assemblee pubbliche, le giornate tematiche, e soprattutto queste mappe di comunità, sono state l’occasione per cominciare questo percorso. Un percorso che poi è solo un inizio, per ricostruire una geografia perduta, per ritessere questi frammenti in un nuovo racconto collettivo che altro non è la Montespertoli di oggi, la nostra Montespertoli che quotidianamente abitiamo e che guarda al futuro.” “Le mappe possono rivelarsi utili non solo per un recupero della memoria collettiva del territorio, ma anche per passare da questa a una fase più progettuale. Vi è però un ulteriore passaggio, non indispensabile ma che potrebbe moltiplicarne l’efficacia: un raccordo delle azioni di base (le mappe) con le forme e gli ambiti di pianificazione territoriale ufficiali e che già operano a livello sovra-locale. Si tratta di una riflessione rivolta più ai pianificatori che ai protagonisti delle mappe di comunità, tuttavia è bene che entrambi la prendano in considerazione. La consapevolezza dell’utilità dell’approccio tipo Parish Map (o comunque di lettura partecipata del paesaggio e dei suoi valori) è in crescita anche negli ambiti “ufficiali”. Essa si basa su due considerazioni, due contributi che, a parere degli esperti, attività di questo tipo, anche a scala locale, possono fornire alla programmazione territoriale su aree vaste. La prima riguarda la possibilità che azioni alla base possano essere efficaci strumenti di ricezione di stimoli ed emergenze specifiche, risorse considerate disponibili o criticità esistenti o ancora che possano fare emergere eventuali specificità di cui tener conto, in modo da facilitare l’applicazione delle procedure di tutela in una logica di gestione condivisa delle regole del Piano paesaggistico. In parole semplici: un ruolo di antenna e sensore sul territorio. Un secondo aspetto ritenuto utile dai pianificatori è quello della formazione di quella parte del personale pubblico, normalmente impreparato a questo tipo di lettura del territorio, che deve occuparsi dell’articolazione dei piani regionali alla scala locale. Le iniziative di lettura partecipata del paesaggio possono quindi fungere da occasioni di formazione “sul campo”. Si tratta di due aspetti importanti, ma forse non sufficienti a realizzare un raccordo fra iniziative locali, spesso semi-spontanee come si è visto, e la pianificazione ufficiale, perché utili soprattutto dal punto di vista di quest’ultima. Affinché una connessione proficua possa concretizzarsi è probabilmente necessaria una maggiore interconnessione con gli “altri” piani – non solo urbanistici o paesistici, ma di sviluppo rurale, turistici, della formazione, dei trasporti, e così via – per favorire processi coerenti. In altre parole, se qualcuno in qualche ambito locale, a seguito di una riscoperta dei valori del proprio territorio, decide di dare vita ad azioni che trovino nuove funzioni a determinati elementi paesaggistici, questo sforzo deve trovare un coerente sostegno in tutti gli ambiti di programmazione, eventualmente attraverso la mediazione di quella territoriale. Le mappe di comunità potrebbero così avere un ulteriore aspetto positivo, oltre a tutti quelli ampiamente analizzati in precedenza, diventando una sorta di dichiarazione di intenti da parte locale circa finalità, desideri e forze in campo per conservare e modificare i luoghi: sarebbe un bel modo di dare voce a un gruppo di interesse – gli abitanti – del tutto privo di una specifica lobby a propria difesa anche se, paradossalmente, trasversale quanto nessun altro.”
(“Perchè, quando e come realizzare una Mappa di Comunità”, StrumentIRES n.10, IRES, 2006).